Quello che Socrate direbbe sul nostro modo di educare oggi…

Quello che Socrate direbbe sul nostro modo di educare oggi

Se oggi Socrate passeggiasse tra le aule scolastiche o universitarie, forse resterebbe in silenzio. O forse no. Forse riderebbe piano. Poi comincerebbe a fare quello che ha sempre fatto: domande. Ma il problema è che oggi le domande non sono benvenute. O, meglio, non quelle giuste. Quelle che spiazzano. Quelle che mettono in crisi. Quelle che ti costringono a rispondere non con una formula, ma con un pensiero.

Il metodo socratico non era un insegnamento. Era una provocazione. Un percorso di scoperta reciproca. Chi incontrava Socrate non riceveva risposte, ma usciva pieno di dubbi. E in quel dubbio, iniziava a imparare davvero. L’apprendimento era dialogo, tensione, ascolto. Una dinamica in cui l’insegnante non stava su un piedistallo, ma si faceva vulnerabile, parte del processo. Oggi invece l’educazione pretende certezze. Pretende soluzioni. Pretende risultati misurabili, voti, certificazioni. Non ammette l’incertezza. E così soffoca il pensiero prima ancora che possa nascere.

Cosa farebbe Socrate in un’aula con lavagne digitali, slide preconfezionate e programmi ministeriali intoccabili? Probabilmente si rifiuterebbe di sedersi. Preferirebbe discutere sotto un albero. Perché per lui non contava il contesto, ma la presenza viva del pensiero. E oggi, più che mai, quella presenza sembra svanita.

La scuola come luogo dell’addestramento

Socrate non riconoscerebbe l’educazione come la pratichiamo oggi. Non si fiderebbe delle strutture rigide, dei programmi blindati, delle lezioni frontali che non lasciano spazio all’errore. Per lui, imparare era un atto vivo. Un dialogo. Una tensione continua tra il sapere e il non sapere. Una scuola che parla, che insegna a memoria, che premia chi ripete, non è una scuola. È un addestramento.

L’educazione contemporanea sembra temere il caos. Cerca ordine, prevedibilità, efficienza. Ma il sapere è tutto tranne che ordinato. Non si lascia contenere in moduli da 50 minuti. Non si adatta ai formati standard. Chi sa, spesso non sa spiegare come ha imparato. E chi insegna, spesso dimentica cosa significa imparare da zero. Questo scollamento è diventato strutturale.

In questo schema, l’insegnante è spesso ridotto a tecnico della didattica. Non più maestro, ma gestore di contenuti. L’alunno, dal canto suo, viene trattato come un contenitore da riempire. Non si cerca la crescita dell’essere umano, ma la conformità a uno standard. Socrate ci ammonirebbe: un’educazione così non serve a generare libertà, ma obbedienza.

L’ignoranza consapevole come punto di partenza

Uno dei paradossi più affascinanti del pensiero socratico è la sua affermazione più celebre: “So di non sapere”. Non è umiltà. È lucidità. La vera conoscenza inizia quando si riconosce il limite del proprio sapere. Ma oggi questo è considerato inammissibile. L’educazione punta a riempire, non a svuotare. A fornire risposte, non a raffinare le domande.

In un mondo dove l’ignoranza è vista come una colpa, nessuno osa dire: “non so”. E così si crea un paradosso educativo: più si sa, meno si impara. Perché se non c’è spazio per il dubbio, non c’è spazio per la crescita. Socrate direbbe che abbiamo confuso l’erudizione con la saggezza. Che stiamo costruendo menti colme ma non profonde.

Accettare di non sapere significa esporsi. Mettere in discussione le proprie certezze. Rinunciare all’apparenza per entrare nella sostanza. Ma questo richiede coraggio. Un coraggio che oggi manca, perché l’intero sistema premia la velocità, non la profondità. Socrate ci insegnerebbe che la vera conoscenza è lenta, a volte dolorosa. Ma è l’unica che conta.

L’urgenza di una pedagogia del confronto

Ciò che manca oggi non è il contenuto, ma il confronto. Il sapere, se non è condiviso, interrogato, discusso, diventa sterile. Socrate ci ricorderebbe che l’educazione è un atto relazionale, non un trasferimento di dati. Serve qualcuno che ascolti, ma anche qualcuno che metta in discussione. Serve tempo. E soprattutto, serve silenzio. Quel silenzio che precede una domanda vera. Quel silenzio che oggi non c’è più.

Nel nostro sistema educativo manca il coraggio del conflitto intellettuale. Gli studenti non sono abituati a discutere davvero. I docenti non sono incentivati a cambiare rotta. Tutto è stabilito. Tutto è previsto. Ma la verità – se esiste – si trova spesso proprio nel momento in cui si accetta di mettere in discussione l’intero impianto. Socrate ci direbbe di abbandonare la cattedra, di scendere nella piazza, e di cominciare a domandare insieme.

Imparare, per lui, significava sporcarsi le mani nel pensiero altrui. Entrare in relazione, accettare la frizione. Oggi abbiamo paura del conflitto. Lo evitiamo. Ma senza confronto, non c’è crescita. E senza crescita, non c’è educazione.

Oggi, più che mai, abbiamo bisogno di Socrate

Il mondo è pieno di informazioni, ma sempre più povero di senso. Inseguiamo competenze, ma dimentichiamo la conoscenza. Formiamo professionisti, ma non pensatori. E se ci manca il pensiero, ci manca tutto. Socrate, oggi, non avrebbe bisogno di internet. Gli basterebbe uno sguardo per capire che la crisi dell’educazione è una crisi dell’anima.

Viviamo in una cultura dell’efficienza, dove ogni cosa deve servire a qualcosa. Anche la scuola. Anche il sapere. Ma Socrate ci ricorderebbe che non tutto deve essere utile. Che il valore più profondo di una conoscenza sta nella trasformazione che produce, non nel profitto che garantisce. E allora dovremmo chiederci: quale trasformazione stiamo davvero cercando?

Forse non possiamo tornare ad Atene. Ma possiamo riportare la filosofia nella scuola, non come materia, ma come metodo. Possiamo reimparare l’arte del domandare, del dubitare, del cercare. Possiamo insegnare a non accontentarsi delle risposte facili. A non temere il buio. A fidarsi del cammino.

Perché solo chi dubita, impara davvero. E solo chi impara, può cambiare il mondo. Ma soprattutto, solo chi cambia se stesso, può cominciare a educare davvero gli altri.